Il movimento può diventare una grande parabola della vita e della ricerca interiore: “Io sono la via, la verità e la vita”, dichiara Gesù (Giovanni 14,6). Per questo ci sono itinerari sacri, i pellegrinaggi, ma anche esperienze di viaggi che si trasformano in simboli e la Bibbia ne è una testimonianza costante, iniziando dal percorso intrapreso da Abramo che “obbedisce a Dio partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e che parte senza sapere dove andava” (Ebrei 11,8).
Decisiva sarà, però, l’esperienza dell’Esodo dall’Egitto con la vicenda drammatica e gloriosa del deserto: si tratta di una sorta di parabola permanente della vita di Israele nel suo passaggio dalla schiavitù alla libertà, dall’oppressione del male e del peccato alla luce della terra promessa, che diventa il segno dell’eternità e della nuova e perfetta creazione.
Proprio per questo una delle componenti fondamentali della spiritualità biblica sarà il pellegrinaggio al tempio di Sion da compiere tre volte all’anno in occasione della tre feste principali: Pasqua, Pentecoste e Capanne.
I “Salmi delle ascensioni” (dal 120 al 134) attesteranno questa tensione verso l’alto non solo spaziale (Gerusalemme è a 800 metri) ma verso il cielo, il trascendente, il divino. Su questa via incontriamo anche Gesù che sale fin da ragazzo come pellegrino a Sion: è significativo ricordare che Luca occupa ben 10 capitoli (9,51 – 19,28) del suo Vangelo per descrivere la lunga marcia che conduce Cristo a Gerusalemme, sede della sua morte e risurrezione.
La “Porta d’oro di Gerusalemme”
E sulle sue orme devono incamminarsi anche i discepoli: “Se uno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” ( Matteo 16,24). Essi hanno ora davanti a sé il mondo intero, come ammoniscono le parole del Risorto (“Andate in tutto il mondo”) e come dimostrano le descrizioni dei viaggi apostolici, soprattutto quelli di San Paolo, presenti negli Atti degli Apostoli. Forse l’emblema più suggestivo del pellegrinaggio cristiano è il racconto dell’itinerario di quei due discepoli da Gerusalemme al villaggio di Emmaus: Cristo, pure se non è stato riconosciuto, li accompagna con la sua Parola che fa ardere il cuore e li conduce nel santuario quotidiano di una casa, ove spezza il pane eucaristico (Lc 24,13 – 35).
A questo pellegrinaggio sono invitati non solo i discepoli, ma tutti gli uomini che cercano Dio con cuore sincero, come i Magi: “Molti verranno da oriente e da occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” (Mt 8,11).
E la meta ultima di tale itinerario non è nel ritorno a un passato remoto e nostalgico come accade a Ulisse. La vita cristiana, che negli Atti degli Apostoli è chiamata per simboli “la via”, è protesa verso un termine trascendente, luminosamente rappresentato dalla Gerusalemme celeste cantata dall’Apocalisse.
Là scompariranno le presenze che turbano il nostro cammino terreno: “morte, lutto, lamento e affanno”, perché il Dio –con noi tergerà ogni lacrima dai nostri occhi” ( 21,3 – 4). La comunione con Dio sarà piena perché “saremo rapiti tra le nubi per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore (1 Tessalonicesi 4,17), divenuti ormai concittadini dei santi e familiari di Dio.