C’è modo e modo di entrare nelle nostre case
Il virus si è presentato sul nostro pianerottolo senza essere invitato, non si è scoraggiato di fronte alla porta blindata e all’allarme inserito, non ha bussato, non ha suonato il campanello, ma paziente ha atteso che qualcuno abbassasse la maniglia e silenzioso e felpato come un gatto è scivolato via, non visto, tra le gambe.
Si è accucciato in anticamera, sotto la cassettiera e lì si è riposato, ha dormito per qualche giorno.
Ha girovagato per le stanze e i corridoi
Mentre noi andavamo in ufficio e a scuola, ha curiosato tra i libri, si è soffermato davanti alle foto, ha giocato tra le setole dello spazzolino. Poi si è ricordato che era in missione. Che era in servizio e non in vacanza.
Si è adagiato ai piedi del letto, di fianco al gatto, e una notte, mentre russavamo, forse. E’ entrato attraverso la porta principale: la bocca, o forse dalla porta di servizio: il naso. Non si sa, non è dato a sapersi.
Ed è rimasto lì. Immobile, per qualche giorno a studiare l’ambiente.
Ha scrutato le pareti della faringe, ci ha mangiato ha buttato rifiuti. Poi con l’arroganza di un intruso ha sceso le scale della trachea e furtivo è entrato nell’anticamera dei bronchi.
Si è fermato di nuovo per fiutare il grande colpo e in punta di piedi, giusto un colpo di tosse , è entrato nella nostra stanza più intima nella cassaforte della vita, nel nostro tabernacolo.
Per arrivare fino a lì ha dovuto scavalcare balconi, è saltato nel vuoto ha eluso la sorveglianza di globuli bianchi impreparati. E’ passato davanti ai fagociti che non lo hanno riconosciuto e quando si è presentato davanti alla porta che dà ai polmoni era invisibile ai globuli bianchi che vi montavano la guardia.
I linfociti (soldati scelti, i natural killer, i marines del nostro sistema immunitario) non hanno potuto nulla. E’ entrato nella stanza del respiro e lì ha scatenato il suo istinto di terrore.
E’ stato triste come Caporetto, infamante come Pearl Harbour, umiliante come Waterloo.

Chi è stato male in quei giorni era concentrato sul suo respiro, la TV diceva che bisognava prestare attenzione al respiro, i medici interpellati per la febbre chiedevano ansiosi: “e il respiro?”
Chi aveva la febbre, per giorni e giorni, ascoltava il respiro con angoscia.
Siamo un soffio
La vita è un soffio
La sostanza dei nostri corpi e dei nostri pensieri
È fatta di aria.
L’aria è la forma della nostra coscienza.
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità. Qo 1,2
Il termine “vanità” può essere espresso benissimo “soffio” che traducono l’ebraico “hebel” ovvero “fiato”/”soffio”; quello che esce dalla bocca e subito si disperde nell’aria.
Dunque una realtà inconsistente.
C’è modo e modo di interrogarci nelle nostre case.
“ … allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo
E soffiò nelle sue narici un alito di vita
e l’uomo divenne un essere vivente.
Da allora quando l’uomo parla della vita, del mistero che la abita, nomina l’aria, il vento, il soffio.
Il segreto della vita dentro l’impalpabile respiro, il miracolo della coscienza, lo sconcerto della materia che è consapevole di se stessa, la sua formula segreta è nell’aria (cf Blowin’ in the wind”).
Un tempo eravamo nulla, niente e un respiro ci ha evocati, ci ha chiamati un’espirazione, un soffio ci ha resi coscienti. L’uomo ha ricevuto il suo unico grande regalo sotto forma d’aria, tutte le tradizioni parlano dell’aria come del vestito del divino.
C’è modo e modo di uscire dalle nostre case.
Dopo aver distrutto le papille olfattive, ubriacato quelle del gusto dopo aver fatto un osceno happy hour nelle nostre gole
Dopo aver incendiato il nostro corpo per settimane, dopo aver spaccato le vetrine dei nostri alveoli, dopo aver rovesciato il sangue dove molti di noi ci sono annegati, dopo tutto questo scempio, se n’è andato.
C’è modo e modo per uscire dal nostro tempo
“Si udì una voce dal cielo che disse a Mosè: “ Mosè, è la fine, il tempo della tua morte è venuto” . “Mosè disse a Dio: “Ti supplico non mi abbandonare nelle mani dell’angelo della morte”. Ma Dio scese dall’alto dei cieli per prendere l’anima di Mosè e gli disse: “Mosè chiudi gli occhi” e Mosè li chiuse; “Posa le mani sul petto” e Mosè così fece, adesso accosta i piedi” e Mosè li accostò. Allora Dio chiamo l’anima di Mosè dicendole: “Figlia mia, ho fissato un tempo di centoventi anni durante il quale tu abitassi nel corpo di Mosè. Ora è giunta la tua fine; parti, non tardare”. E l’anima: “Re del mondo io amo il corpo puro e santo di Mosè e non voglio lasciarlo” . Allora Dio baciò Mosè e prese la sua anima con un bacio della sua bocca, poi Dio pianse per la morte di Mosè”.
Giacomo Poretti